02 marzo 2007
Frammenti preziosi
L’immagine oleografica di "Piana degli Albanesi", da me visitata in gita scolastica intorno agli anni sessanta, si è oggi arricchita di nuovi, precisi contorni. Per gli studenti palermitani era il modo per visitare un piccolo paese ai margini di un lago artificiale, specialmente nel periodo delle feste pasquali, quando si poteva assistere a strani riti. "Piana dei Greci" per il rito greco con cui viene celebrata la messa, oggi è nuovamente "Piana degli Albanesi". I discendenti di quel gruppo di profughi sfuggiti all’armata turca, celebrano ancora la messa di Pasqua con brani dal vangelo in sette lingue, compreso l’arabo. I visitatori sono accolti col dono di uova colorate di rosso e si assiste ad un lungo corteo in cui gli abitanti indossano sontuosi costumi ricamati d’oro e d’argento. Anche all’incontro di sabato 24 febbraio 2007, abbiamo ricevuto dei doni, e preziosi.
Il primo dono che ho avuto è stato l’abbandono del mio pregiudizio oleografico e il formarsi di una idea: l’Albania è una nazione alla ricerca di una nuova configurazione. Il pomeriggio, svoltosi nei locali ampi e arredati modernamente del Caffé Letterario di via Ostiense 95 a Roma, ha visto snodarsi una serie di eventi, volti a presentare un "Doppio Sguardo": Italiani in Albania e Albanesi in Italia. L’organizzazione è stata curata dall’associazione culturale italo-albanese "Occhio blu" Onlus. Ai saluti di S.E. Llesh Kola, Ambasciatore d’Albania in Italia, accolto con un caloroso applauso dai numerosi presenti di entrambe le Nazioni, sono seguite le varie parti dell’incontro. Il sociologo Rando Devole, autore del libro "L’immigrazione albanese in Italia", ha presentato, come moderate, l’evento e la mostra fotografica della giovane Ina Verzivolli. Due massicci microfoni, tenuti insieme con nastro adesivo trasparente hanno raccolto interviste sorretti dal moderatore: altro che "metafora" della fatica! Proprio "una fatica".
Eliza Coba ed Edmond Cali hanno parlato del lavoro nella vita del migrante, sottolineando come a volte non vi sia coincidenza tra la durata del permesso di soggiorno e il periodo lavorativo a tempo determinato: se il periodo lavorativo si conclude dopo del permesso di soggiorno si è costretti alla clandestinità fino alla conquista di un’altra occupazione.
Anna Rosa Iraldo e Paola Musarra hanno raccontato la loro esperienza; l’una, Paola a Roma, con gli occhi dell’altra, Anna Rosa a Tirana, si sono occupate di storie di donne albanesi. Si è colta la delicatezza, messa in atto da entrambe, per testimoniare e tradurre e consegnare i significati nel modo più puro possibile. Si è compresa la difficoltà di usare passaggi tra linguaggi diversi: registrazione orale, traduzione, scrittura e "mise en page" sul sito no profit "Medea" curato da Paola Musarra. Eugenio Pezzi e Serena Luciani hanno affrontato il tema delle nuove generazioni che si integrano, celebrando matrimoni misti e rischiando di perdere l’ identità nazionale: non sempre le nuove famiglie trasmettono ai figli la lingua, la cultura e le usanze della terra natia.
Con Anila Husha e Ismail Ademi è stato affrontato il problema del futuro. Cosa faranno gli studenti universitari di seconda generazione? Troveranno lavoro in Italia o in Albania? Il loro titolo di studio dove avrà valore? Mentre parlano con passione, una bimba dal vestitino marrone lungo tenta di arrampicarsi sui gradini neri per avvicinarsi agli intervistati che stanno in alto, sulla pedana. Ma è troppo piccola, avrà a stento tredici mesi, e non ci riesce. Emette a volte una specie di cinguettio felice, interrotto dalla mamma che dolcemente l’allontana.
La prima parte si è conclusa, segue un intermezzo musicale. Al pianoforte a coda siede Mario Montore, Ana Lushi canta con splendida voce da soprano due brani, uno dalla "Bohème" di Puccini e uno dalla "Semiramide" di Rossini. Ora è la volta di antiche canzoni albanesi, la prima è della zona di Scutari. Si ascolta la tranquillità del lago e dei fiumi, dei boschi e delle montagne ai confini del Montenegro. Accanto a me un ragazzo biondo seduto a gambe larghe sussurra pianissimo le stesse parole, se le cerca dentro e forse ricorda qualcosa di lontano ma non completamente perduto, forse un canto della sua mamma quando era bambino, i suoi occhi azzurri brillano. Conclude la serata il grande poeta Visar Zhiti, che reca ancora le ferite della sua lunga prigionia di dissidente.
Etichette: vecchie cronache romane
Iscriviti a Post [Atom]