19 dicembre 2009

Basmati al carciofo



Lessare il basmati come di consueto per venti minuti in acqua salata dopo averlo tenuto a bagno almeno un'ora. Per una persona cento grammi basteranno.Stufare, in acqua salata e poco olio, il carciofo senza gambo, dopo averlo privato delle spine, delle foglie esterne dure ed eventualmente della barbetta centrale. A fine cottura fare leggermente abbrusolire tenendolo a testa in giù nel poco olio rimasto. Mettere in forma il riso in una ciotolina a piacere, adagiare il carciofo sul riso  e decorare il piatto con prezzemolo lavato e sminuzzato con le dita.

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16 dicembre 2009

Il silenzio d'una pagina bianca - Seminario del circolo Bateson del 12/13 dicembre 2009







Elaborazione di G.D.


‘Non ordisco intrighi, non tramo trame,
Stima e disistima per me sono uguali,
Una vita semplice mi allunga la vita.
Quelli che incontro sulla mia strada
Sono tutti quanti Immortali
Che sui loro seggi tranquilli commentano
Le Scritture della Corte Gialla.’

Wu Ch’eng-en  Lo Scimmiotto - pag. 10
Biblioteca Adelphi 34 Quarta edizione febbraio 2002

Il silenzio d’una pagina bianca

Vi voglio raccontare una storia che ho sentito tanti e tanti anni fa. La storia di una pagina bianca. Era una pagina che voleva nascere, essere pensata, ma non aveva il coraggio di apparire. Credeva che fosse opportuno rimanere nel mondo delle cose inespresse.

Non sapeva neanche di esistere né che avrebbe avuto bisogno di una mente per essere accolta nell’oceano sconfinato delle pagine scritte.

Un giorno aveva eseguito una danza senza significato ed era precipitata in un luogo colmo di cose di carta: tutti libri pubblicati da tutte le case editrici di tutto l’universo. Quante lingue sconosciute e quanti esseri di pianeti vicini o lontanissimi avevano dato forma a storie, pensieri, calcoli, descrizioni. Disturbata dalla quantità di quelle storie era immediatamente scomparsa nel suo paese inesistente. Turbata dalle ripetizioni, dai masticamenti e dall’odore asfissiante delle copiature, dall’erudizione di quelle pagine che avevano avuto l’ardire di nascere.

Sarebbe stato opportuno rimanere inespressa eppure…….il desiderio di colmare la sua tristezza era molto forte.

-Se nasco dovrò pure morire- pensava la storia senza accorgersi che era circondata fino all’infinito da altre come lei, pagine bianche, sole e ancora mute…credeva che il candore abbagliante che la circondava fosse il nulla e non le altre solitudini nell’attesa d’una mente capace di coraggio. Forse in futuro…pensava…E intanto era felice di non esserci ancora in quel luogo dove tutto era destinato a dissolversi senza altro significato che il riciclarsi inconsapevole in differenti esistenze.

(Controllo ortografia e grammatica )E’ preferibile non apostrofare un articolo. Controllare: d’una.

Ad un tratto si accorse di impalpabili venature che la percorrevano, linee parallele grigio chiaro nel verso del suo lato minore. Righe o righi.

-Potrei fare parte di un quaderno di temi - pensò - O di uno spartito musicale, così conciata-. Durò poco, in breve tornò bianca: non avrebbe mai sopportato costrizioni o vincoli di nessun genere. Qualcuno la stava già usando ma, delicatamente, così da non fargliene accorgere.

Perché mai sarebbe più dignitoso non attaccare una virgola volante prima d’un articolo?

Uno dei suoi angoli retti cominciava ad esigere una regola, un significato, una morale e questo alla pagina, che non era ancora neanche un foglio di carta, ma solo un’idea, non andava proprio a genio. Si rendeva conto che avrebbe cominciato ad avvizzirsi, accartocciarsi e finire nel mucchio di foglie secche in fondo al giardino, pronte per essere bruciate. Fosse stato possibile rimanere innocente, fosse stato probabile evitare d’essere scialba, insapore, avrebbe osato mostrarsi. Dai cumuli di sciocchezze già scritte aveva capito quanto facile fosse incorrere in simili colpevoli trappole. Il tempo non aveva nessuna ragione di scorrere perché la pagina rimaneva nel suo posto, ubbidiente a se stessa, dal punto in cui aveva iniziato a sentirsi esistere. Avvenne comunque che iniziò a commuoversi: aveva sentito che in un piccolo pianeta di un’immensa galassia vivevano degli esseri che avevano bisogno di comunicare per sentirsi vivi. Per credersi importanti a quelle creature non bastava guardarsi, farsi dei gesti o toccarsi; volevano anche comunicare con dei segni rintracciabili. Avevano iniziato con disegni sulle pareti delle caverne, in cui si riparavano per la notte, e sulle foglie delle piante e sulla corteccia degli alberi, sulle pietre e su fogli bianchi di carta.

Fu quella volta che prese coscienza e decise che era venuta l’ora di essere utile, a costo della morte. Quegli esseri piagnucolosi facevano davvero pena…….si trasformò in…..



Una lettera

Tullio saluta i suoi Terenzia, Tulliola e Cicerone

Ho ricevuto da Aristocrito tre lettere che io ho quasi cancellato con le lacrime. Mi struggo, infatti, nella tristezza, o mia Terenzia, né le mie sventure mi tormentano più delle tue e delle vostre. Io, invece, per questo sono più infelice di te che sei molto sventurata, perchè la medesima disgrazia è comune a tutti e due, ma la colpa è soltanto mia. Sarebbe stato mio dovere o accettando la missione evitare il pericolo o di resistere con diligenza e mezzi o di cadere coraggiosamente. Per noi niente fu più meschino, più turpe e più indegno di questo. Per cui sono afflitto tanto dal dolore, quanto anche dalla vergogna. Infatti, io mi vergogno di non aver mostrato virtù e zelo alla mia ottima moglie e ai miei dolcissimi figli. Infatti, la vostra desolazione, la tristezza, il tuo precario stato di salute mi stanno dinanzi agli occhi giorno e notte, mentre mi appare molto debole la speranza della salvezza. Molti ci sono avversari, quasi tutti livorosi .Ma tuttavia, per tutto il tempo che voi sarete nella speranza (finché avrete speranza), io non verrò meno, affinché non sembri che tutto sia precipitato per colpa mia.

Un pensierino di una bambina su un quaderno

Io da grande voglio fare la mamma e prima mi voglio sposare con l’abito bianco in una grande chiesa piena di fiori e con tantissimi invitati e voglio anche il telegramma del Papa.

Una frase lungamente attesa

Carissima, non faccio altro che pensarti, sognarti e sperare di averti ancora una volta qui. Sempre abbracciati, come quella notte trascorsa nella baita sulla montagna, prigionieri del silenzio e della neve, col fuoco del camino sempre acceso.

L’Indice d’ un libro

Ringraziamenti 11

1. Introduzione 13

2. Ogni scolaretto sa che… 39

I. La scienza non prova mai nulla 43

II. La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata 47

Un studio di matematica

La parabola si puo' presentare nella forma:

y = ax2

Per tracciarla basta ricordare che si tratta della parabola con vertice nell'origine e con concavità

verso l'alto se a è maggiore di  0, altrimenti la concavità e' verso il basso

Un disegno




Un epitaffio

Ciò che siamo sarete. Ciò che siete fummo

Un SOS
… _ _ _ …

Oramai la pagina non aveva più la purezza del silenzio, si trasformò continuamente in mille e mille oggetti, di comunicazione; anche se quegli esseri assurdi continuavano a lamentarsi di non sapere come fare per sentirsi meno soli e per raggiungere la conoscenza di tutto ciò che era possibile sapere.

Finì bruciata, come foglio d’un giornale usato per accendere un falò in una radura del bosco. Era uno di quei giornali mentitori come ce n’erano tanti. Il cielo notturno era colmo di astri lucenti. Era primavera inoltrata. Attorno al falò, visi di bambine e di bambini, guardavano incantati quel foglio, che insieme ad altri crepitava per infiammare la legna secca accostata: sembrava che non volesse consumarsi in cenere.

Poi anche quello si sbriciolò, sbuffando intorno una polvere grigia. Tutti cominciarono ad osservare le stelle.

Giuseppe Davì

Preparata per il seminario del circolo Bateson del 12/13 dicembre 2009

“……Che storia mi racconti?” Legambiente Roma Sede Nazionale

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10 dicembre 2009

Insalata russa ai cucunci

Ingredienti:
maionese gr 200
patate lessate 5 piccole
tonno sott'olio 1 scatola piccola
cetriolini, cipolline carote sottaceto
cucunci 4
1 limone piccolo

Preparazione:
schiacciare finemente le patate lessate e pelate, mescolare il tonno sminuzzato , la maionese e i cucunci a pezzetti, tutto a freddo. Preparare  la cupola e decorare a piacere con i sottaceti e le fettine di limone. Tenere al fresco coperto con pellicola trasparente fino al momento di servire.

Per chi non lo sapesse i cucunci sono i frutti del cappero.

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25 settembre 2009

NELL'INTRICATA BOSCAGLIA DI "FUTURO" NASCONO TRE NUOVI CESPUGLI


PENSIERI, RACCONTI, CRONACHE E POESIE DI G.D.

RIVISTA LETTERARIA 
LA PAGINA DI TUTTI

CUCINA CREATIVA
INVENTARE CON ELEMENTI  SEMPLICI 

24 settembre 2009

Le arancine di Pippo

Ingredienti per 20/25 arancine:

1 kg di riso speciale per arancine ( arborio o roma )
2 bustine di zafferano
500 gr. di carne tritata mista (anche con maiale)
200 gr. di piselli già sgusciati freschi o surgelati
400 gr. di salsa di pomodoro
250 gr. di formaggio grattugiato (caciocavallo, parmigiano reggiano o pecorino)
5/6 uova
300/400 gr. di farina
500/600 gr. di pangrattato finissimo
Sale Pepe


Per preparare le arancine occorre prima lessare il riso in una pentola colma d’acqua salata. Quando sarà ben cotto  aggiungete lo zafferano, sciolto in poca acqua calda,  tre cucchiai d’olio per evitare che possa risultare troppo colloso a causa dell’amido, scolatelo bene e mettete successivamente il formaggio grattugiato e due uova.  Mescolate il tutto con un cucchiaio di legno e lasciate riposare e freddare mentre preparate il ripieno.
In un tegame soffriggete la carne trita in olio d'oliva extravergine, aggiustate di sale e pepe, unitevi la salsa di pomodoro ed infine i piselli (sbollentati in acqua salata se surgelati ).
Otterrete un sugo piuttosto denso e asciutto di carne e piselli; lasciate cuocere per almeno 20 minuti o più.
A questo punto potete prendere il riso e farne delle palle della dimensione di un’arancia; con un cucchiaio aiutatevi per  inserire nella parte più centrale dell’arancino il ripieno di carne al sugo con i piselli, quindi ricoprite con un po’ di riso e riformate la vostra arancia. Eseguito questo procedimento non vi resta che passare le arancine nella farina e dopo nelle uova rimaste, battute con una presa di sale. Passate poi nel pangrattato e friggete accuratamente in olio di semi. L'olio dovrà ricoprire le arancine e sarà a temperatura non elevata, per evitare che si brucino. Scolare bene dall'olio in eccesso.
Le arancine sono buone sia calde sia tiepide ma noi vi consigliamo di gustarle calde per assaporare il formaggio che fonde rendendole ancora più squisite. Nel caso si dovessero preparare  in anticipo, rispetto al consumo, passatele tutte insieme per alcuni minuti in forno molto caldo. Questa finitura renderà le arancine lucide fuori e uniformemente calde dentro.

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10 aprile 2008

Le peonie



Salutiamo Aprile con le peonie rosa
di Laura Scarino.

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24 marzo 2008

Le parole per non dirlo

La mia costruzione  in risposta al giocotest di Paola Musarra al seminario del dicembre 2007

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22 marzo 2008

Il pastore



Radi alberi dai minuscoli fiori rosati
I mandorli profumano
Le pietre ai muriccioli
Non polverosi

E’ marzo forse aprile

Sta accosciato
Le spalle robuste al tronco
Del grande pistacchio
Il pastore
Il cane bianco allato

A guardia delle pecore
A contare i nati
Della notte

Un filo d’erba tra i pollici
Sibila una musica
Col vento leggero

Il cane bianco
Insegue la smarrita
Ora spaventata

L’ammucchia

Il pastore sceglie
Il piccolo più bello
L’abbraccia
L’accarezza

Odora di latte
Appena succhiato
Il muso rotondo

Domani
Il collo
Sarà reciso

Legate le zampe di dietro
Al ramo basso di un carrubo
Colerà lento il sangue

A nutrire vespe
e nere formiche
A rifare vita

Giuseppe Davì

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18 marzo 2008

Auguri a tutti i Giuseppe di tutto il mondo


10 marzo 2008

Ravanelli al curry: una storia dakini


Un giorno Saraha chiese alla moglie di preparargli un piatto di ravanelli al curry. Ella preparò il cibo ma nel frattempo Saraha entrò in uno stato di profonda meditazione dal quale non riemerse per dodici anni. Appena risvegliatosi, Saraha per prima cosa chiese alla moglie i suoi ravanelli al curry. Sua moglie era incredula. - Sei stato in meditazione per dodici anni e adesso è estate e non è il tempo dei ravanelli - rispose, Saraha decise allora di recarsi sulle montagne per continuare la meditazione .- L'isolamento fisico non è la vera solitudine - replicò sua moglie. - La vera solitudine è l'abbandono dei preconcetti e dei pregiudizi di una mente rigida e limitata e ancor più l'abbandono di qualsiasi etichetta o concetto. Se ti risvegli da dodici anni di samadhi e sei ancora attaccato al tuo curry, che senso ha andare sulle montagne?- Saraha ascoltò le parole di sua moglie e dopo un po' di tempo ottenne le supreme realizzazioni della Mahamudra.

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08 marzo 2008

Pane e olio



“ Mi raccomando, devi farti dare dal fornaio sette pani e devono avere sopra una croce!” mi gridava nonna Giuseppina dalla finestra mentre correvo per la strada in salita, felice di avere un compito di riguardo. Il giorno prima per tutto il pomeriggio aveva impastato il pane con la farina del grano proveniente dalla nostra campagna. Nella piccola cucina aveva faticato a lungo mescolando acqua e farina e lievito nella madia incrostata dal tempo, aveva fatto sette forme rotonde col segno sopra perché al forno non si confondessero con le altre, straniere. Il commesso del fornaio le aveva allineate su due lunghe tavole e le aveva portate alla cottura. Il profumo nel panificio mi stordiva mentre attendevo paziente il mio turno. Le grandi borse pesavano al ritorno e scottavano ma mi attendeva una golosa ricompensa. La nonna affettava due belle fette e le bagnava d’olio, quello dei nostri ulivi, denso scuro odorosissimo. Una fetta per sé ed una per me: pane e olio. Mangiavamo in silenzio nella cucina seduti davanti alla piccola tavola col cassetto pieno di pezzi di formaggio pecorino. Lo stomaco si saziava e il cuore sorrideva. La nonna sorrideva. Talvolta, sulla fetta di pane,  la  nonna  metteva anche qualche scaglia di pecorino. Pane caldo e olio. Doni meravigliosi.

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04 marzo 2008

Anni 50 scandalo a Mondello



Amiche

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01 marzo 2008

La lettera di Federico



...non so cosa dire...e credo che non ci sia niente da dire...la vita è questa, tutto ha un ciclo...un inizio e una fine; al di là di questi estremi non ci è concesso sapere. Una pianta ha un inizio e una fine, una guerra ha un inizio e una fine, un ponte ha un inizio e una fine, un pianoforte ha un inizio e una fine, una nave ha una prua e una poppa, un ciclo produttivo ha un inizio e una fine........ma nel bel mezzo di questi estremi ben definiti accade un qualcosa che non ha né inizio né fine. La foto che mi hai mandato dimostra esattamente questo. Tu in quella foto sei il nuovo inizio, i tuoi figli sono il nuovo inizio, una pianta che rilascia il polline...quello è il nuovo inizio...una fabbrica con un suo ciclo di produzione che produce torni che a loro volta daranno inizio ad una nuova produzione...l'energia né si crea né si distrugge, ma si trasforma. Da un processo definito ne nasce uno infinito. Immagina una caldaia a pellet, l'alimentazione del pellet viene fornita dalla classica "vite senza fine"....tutto è fuorché infinita, ma con la sua corta filettatura riesce a trasportare una quantità infinita di pellet dentro la camera di combustione.
Ma ora non bisogna farsi queste domande...la poppa della nave è ancora lontana, la crociera continua!

29 febbraio 2008

Ho avuto un sogno ( orme nella sabbia )



Ho sognato che camminavo in riva al mare con il mio Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme, le mie e quelle del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: «Signore io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?». E Lui mi ha risposto:«Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali sei soltanto un'orma sulla sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio».

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28 febbraio 2008

Ninna nanna siciliana

Binirittu lu jornu e lu mumentu, to madri quannu a latu ti truvau, doppu di novi misi,
e cu gran stentu, guau, guau, facisti, e in frunti ti vasau.
Dormi nicuzzu cu l’ancili toi,dormi e riposa, ti canto la vo’oh,oh, dormi bimbo e fai la vo’.
Si da lu celu calassi na fata,nun lu putissi fari stu splinnuri, chi stai facinnu tu biddizza amata,
ca tutt’intornu inchi di rusi e ciuri.

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23 febbraio 2008

Spaghetti alla “Palina”


La semplicità è necessaria; coniugare economia e alto livello qualitativo è possibile. Occorre soltanto sperimentare e scoprire che, anche con elementi facilmente rintracciabili nella nostra cucina, si può preparare un piatto di pasta indimenticabile. A casa mia si chiamava “pasta alla palina”, dal nome dell’antico autore, tal Paolino, forse cuoco del monastero di 'San Francesco di Paola' a Palermo o forse indigente a caccia di qualcosa di gustoso e nutriente.
Se siete in sei o al massimo otto, sarà sufficiente un chilo di spaghetti grossi, ricordo quelli del dopoguerra venduti a peso e avvolti nella cosiddetta carta pasta; occorrerà del pangrattato, meglio se casalingo e in pratica da diversi tipi di pane secco; infine del buon olio extravergine e alici sottolio.
Meglio sarebbe, usare le sarde salate. In tal caso ricordatevi di considerarne almeno due a persona. Lavatele abbondantemente sotto un getto d’acqua fresca, staccate la testa della sarda e togliete con le dita bagnate il sale in eccesso e il nero delle interiora, e, continuando a tenerle sotto il getto dell’acqua, apritele in due con l’unghia del pollice facendo un solco accanto alla spina chiara. La spina rimarrà attaccata da un lato, come un fossile nella sua matrice della mezza sarda. Dopo sarà facile sfilarla, sollevandola dalla parte superiore fino alla piccola coda argentea. Talvolta la coda non verrà via, tranciatela decisamente con le unghie del pollice e dell’indice!

…….Rimaneva nelle dita un fortissimo odore di salmastro e di mare e per qualche istante il muro della cucina crollava e s’apriva un orizzonte di mare blu fino in fondo e un cielo bianco latte e onde alte crestate di spuma bianchissima……

Non è la stessa cosa svitare il coperchio metallico a un vasetto di vetro e usare le alici in orrida conserva d’olio di semi. Eliminate tutto il lavoro di pulitura delle sarde ma anche il sapore, ricordatelo. Comunque quattro filetti a persona.
Mettete sul fuoco una grande pentola con l’acqua e attendete che vada a bollore; col coperchio, ci metterà meno tempo. Ricordatevi di aggiungere il sale solo a bollitura iniziata.
Nel frattempo in una padella media versate tanti cucchiai d’olio quanti sono i vostri ospiti e fate alzare la temperatura ma non troppo. Avete già preparato un piatto fondo col pangrattato, due cucchiai a persona saranno sufficienti. Abbrustolite nell’olio caldissimo rimescolando continuamente e velocemente , il pangrattato assorbirà l’olio e dovrà diventare dorato, non brunito. La tostatura sarà tanto migliore quanto più rapidamente avverrà. Togliete dal fuoco e mescolate ancora aggiungendo un pizzico generoso di sale marino. Conservate “a muddica atturrata” in un piatto.
Lavate bene la padella e rimettetela su fuoco basso, con olio a vostro piacere. Misurandone e usandone una quantità più o meno notevole, cercherete di rendere il condimento gradito alla combriccola. La generosità non è necessaria ma ………auspicabile. In tale padella sciogliete lentamente le alici o le sarde , già pulite e pronte. Attenzione a non far friggere l’olio; a tal uopo, aggiungete alcune cucchiaiate d’acqua calda, magari da quella che sta per bollire per la pasta. La salsa sarà pronta in breve.
Cuocete gli spaghetti al dente, aggiungendo alla fine due bustine di zafferano sciolto in acqua tiepida, scolate non perfettamente, versateli colanti e fumanti in una capace zuppiera, conditeli con la salsa calda mescolando perfettamente .
Adesso colmate i piatti e spolverate in cima alla collina giallo oro, due belle cucchiaiate, ocra chiaro, di “muddica atturrata”(1).
L’effetto è sempre sorprendente specie se accompagnato da un bel bicchiere di vino rosso corposo e d’alta gradazione.

(1)Ai nostri giorni il pangrattato è stato sostituito con il pan carré, tagliando i bordi scuri e tenendo poco in un mix frullatore in modo da avere delle briciole consistenti che verranno tostate nel solito modo.

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17 febbraio 2008

Gatti


Nella giornata mondiale del gatto, auguri a tutti i gatti.

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15 febbraio 2008

Phila





Durante la settimana del Darwin day, a Roma, nella sala conferenze de Museo Civico di Zoologia si è svolta ieri pomeriggio la conferenza di Orlando Franceschelli su “La teoria dell’evoluzione e il naturalismo darwiniano”. La realizzazione dell’evento è stata curata da Biblioteche di Roma e dal Circolo Gould.
Sala affollata, interventi molto creativi. E’ questa la prima di una serie di conferenze su sette domande cruciali, il nome del ciclo è ‘Darwiniana’. Preziose le indicazioni di metodo della ricerca scientifica. Accuratissime le diapositive di Giorgio Narducci. E’ seguito nella serata, nella sala di osteologia, uno spettacolo dal titolo accattivante ‘Chi ha paura delle conchiglie, delle farfalle e delle meduse?’. Musica, immagini e scienza con Roberto Argano, che ha introdotto gli ospiti con arguzia e alla fine chiuso con una storiella umoristica, con Ferdinando Boero (il papà delle meduse), con Marco Oliverio (esperto in molluschi) e con Valerio Sbordoni (il collezionista di farfalle). Coro armonico e percussioni di Mauro Tiberi, alle tastiere Massimiliano Buttarelli.
Osservati da alcuni scheletri di vari animali, tra cui emerge imponente quello di un elefante dalle grandi zanne, Roberto, dopo essere stato presentato da Vincenzo Vomero, direttore dei musei scientifici di Roma, introduce sorridendo il primo video sull’origine della vita sulla terra.
Mauro legge le metamorfosi e dirige i suoni quelli del coro e quelli delle percussioni. Vibrazioni intorno e sullo schermo l’acqua e l’aria, Mauro dice i giorni della creazione. I canti sono anch’essi appena creati e sono incomprensibili, misteriosi e godibilissimi. Mi sembra di ricordare quando ero anch’io una molecola di aminoacido. Dal coro emerge una nota unica interminabile che varia gradualmente in modo da sembrare casuale. Dune di sabbia, nuvole che carezzano la terra. Una linea d’orizzonte curva. Un fiume lento scorre fino alle cascate, che aprono abissi di vapori. Tamburi e trilli d’acciaio. Note aspre di pastori nuoresi. Ora il dolore diventa inesprimibile. Il livello sonoro s’innalza, si affievolisce. Cardini di porte arrugginite stridono e stritolano i centri nervosi acutamente. E’ il cervello che guida i giovani del coro o i suoni vengono fuori autonomamente come se esistessero da soli in un loro universo? Contrabbasso e tamburi lottano o si amano? Si guardano. Forse. Il canto si evolve in una specie di linguaggio che resta suono. Vuole restare suono fino alla fine e finisce.
Vincenzo presenta il video successivo con musica ‘progressive rock’ e scene che vanno dagli invertebrati ai vertebrati, ai carriarmati. La platea assiste in silenzio. Segue un video sulle meduse, e mi rendo conto che il tastierista sta creando al momento il commento e sarà così per tutti i commenti musicali (ce lo conferma Mauro). Assistiamo al sacro, come sacra è la forma delle meduse. Serenità liquida da cui abbiamo avuto origine, insieme alle forme fluttuanti, innumerevoli, ciascuna in sé è perfetta, ed è perfetta nell’insieme. Il tastierista suona quello che sente non quello che vede. Prima finisce il video e le immagini e poi la musica. Ora Ferdinando ci racconta che alleva meduse nel suo laboratorio. Da cinquecento milioni di anni (fine del supereone geologico precambriano) nessuna modificazione genetica, questa è la specie più antica e dunque la più evoluta. Il gene che ha prodotto i loro occhi ha un meccanismo che è identico a quello dell’uomo, e la loro riproduzione è sessuata. La loro simmetria è circolare, ma il cervello ha simmetria bilaterale. La specie si irradia in un migliaio di speciazioni. Si nutrono di plancton. Ai giorni nostri, a causa della drastica diminuzione della fauna ittica negli oceani, dovuta alla pesca a livello industriale, le meduse stanno ritornando a un numero elevato di elementi come negli oceani del precambriano. Nando ora ci racconta che il grande musicista Frank Zappa (Baltimora, 21 dicembre 1940 – Los Angeles, 4 dicembre 1993) ha composto una canzone dedicata alle meduse e conclude ricordando che le meduse sono velenose e che hanno ucciso più persone degli squali.
Si passa ora alla visione di un video sui coralli, con il coro di Mauro che improvvisa sempre con estremo rigore, mentre sullo schermo, in una notte di luna piena, spermatozoi e ovuli emessi dalle barriere coralline formano nuvole fluttuanti. Vincenzo ora presenta Marco che commenta un video sui molluschi. Sullo schermo danzano splendidi colori di gasteropodi gialli e neri, rossi e viola e saltellamenti di bivalvi. La tastiera emette suoni e una grande tridacna chiude le sue labbra blu. Stupore ed estasi di forme mutevoli e ondeggianti. Perché una sottospecie di Murex ha le spine e un’altra no? Uno studioso cieco ha studiato la faccenda col tatto ed è giunto a conclusioni interessanti. Le spine sono molto fragili dunque non sono un sistema di difesa diretto, ma aumentano il volume esterno e dunque i pesci con la bocca piccola non se ne nutrono. Un ottimo sistema di difesa non offensivo! Le murex con spine si muovono sulla sabbia dei fondali, le murex senza spine sotto la sabbia. I conidi hanno occhi e sono velenosi, da sotto la sabbia vedono un pesciolino da catturare, gli sparano un dardo con la loro cerbottana e se lo inghiottono intero lentamente: ci mettono da dieci a dodici ore. Il veleno nel dardo è un mix di elementi più potente della morfina. Il pesciolino inghiottito è anestetizzato. Mauro ha finito.
Vincenzo ci presenta un video porno molto hard: due lumache ermafrodite in accoppiamento. Percussioni, vibrazioni, brividi. Si passa al video delle farfalle. Sempre sorprendente il passaggio dalla crisalide alla multicolore creatura alata. Delle centosessantacinquemila specie, venticinquemila sono diurne, dunque la maggioranza sono creature notturne e fra queste alcune si nutrono di sangue (attaccano anche gli esseri umani). E’ probabile che sulle foglie delle piante della foresta abbiano un tempo trovato il sudore degli animali che vi erano passati sopra e da qui a cercare gli animali e il canale lacrimale dei loro occhi e poi il sangue, non ci sarà voluto molto tempo. Wallace e Bates furono cacciatori di farfalle in Amazzonia e in Malesia e nelle Molucche. Oggi gli studi sulle speciazioni sono eseguiti analizzando il DNA delle farfalle. Anche sull’Himalaya a 5600 metri d’altezza si trovano moltissime specie. Si ricorda il mimetismo e la velenosità di alcune per gli uccelli che vorrebbero nutrirsene.
La serata si conclude con un video sulla deforestazione dell’Amazzonia. Applausi e saluti.

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13 febbraio 2008

Autodafè



L'autodafé o sermo generalis era una cerimonia pubblica, appartenuta in particolare alla tradizione dell'Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione (per eresia o altri reati). Il nome deriva dal portoghese auto da fé, "atto di fede", ed era il cerimoniale giuridico più impressionante usato dall'Inquisizione.
Un autodafé prevedeva: una messa, preghiere, una processione pubblica dei colpevoli e la lettura della loro sentenza. I condannati venivano trascinati in pubblico con i capelli rasati, vestiti con sacchi (sanbenitos) e berretti da somaro (corazos), o copricapi con la fenditura centrale. Le immagini riprodotte sulle vesti del reo indicavano la pena decretata: una croce di Sant'Andrea se si era pentito in tempo per evitare il supplizio, mezza croce se aveva subito un'ammenda, le fiamme se condannato a morte. Gli autodafé si svolgevano sulla pubblica piazza e duravano diverse ore: con la partecipazione di autorità ecclesiastiche e civili.
Il condannato che non aveva in alcun modo mostrato di pentirsi (poteva pentirsi in extremis, ossia davanti al rogo, soltanto chi non fosse recidivo e a condizione di denunciare i propri complici), veniva bruciato sul rogo, anche se spesso veniva strangolato prima che venisse appiccato il fuoco. A chi si presentava spontaneamente a confessare venivano inflitte pene inferiori, come pellegrinaggi, ammende pecuniarie, pubblica fustigazione o il recare croci cucite sui vestiti. Ai falsi accusatori veniva imposto di cucire sugli abiti due lingue di panno rosso. Nei casi gravi la pena era la confisca dei beni o il carcere, la più severa che gli inquisitori potessero comminare. La condanna a morte poteva essere eseguita solo dall'autorità civile, a cui il condannato veniva consegnato, e poteva essere eseguita sul rogo.

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05 febbraio 2008

La tessitrice di tarme












Il procedimento era piuttosto complesso, il risultato improbabile. La quantità d’insetti, che doveva accumulare, era proporzionata all’oggetto da confezionare. Questa volta la vecchia si era incaponita nell’idea di una coperta da letto e matrimoniale per giunta. Com’era stato facile, i primi tempi, approvvigionarsi per un centrino, per un fazzoletto o per un copribarattolo! Si recò dunque, casa per casa, e intrufolandosi con scuse, ora banali ora paradossali, ebbe accesso a vecchi armadi da anni non spalancati. Fu premiata: dalle lenzuola e dai vecchi cappotti così come da maglioni e plaid, furono pescati una ad una, centinaia e centinaia di tarme semiaddormentate. La gente del paese era felice: non avrebbe più comprato canfora o altri odori per allontanare le divoratrici dei loro patrimoni stoffosi.
La raccolta si concluse dopo settimane e mesi di andirivieni. La grande camera della casa, al terzo piano di una palazzina in periferia, ora era stracolma di contenitori d’ogni forma e tipo. Nella penombra dello stanzone, poco illuminato dall’unica finestra dai vetri incrostati, su sedie e poltrone vetuste e sul pavimento, stavano appoggiati cesti di vimini, pentoloni d’alluminio, canestri di canna intrecciata, enormi zuppiere sbeccate e vecchi scatoloni di cartone. Era tutto un ammasso di tarme.
Gli insetti, colore del fango, dormivano tremolando, le superfici vibravano percorse da linee iridescenti dal marrone all’oro, dall’ocra al bianco dei riflessi della poca luce. Una lampadina polverosa, attaccata al soffitto col filo elettrico bianco, illuminava fioca le pareti, dove spiccavano a tratti, tralci di rose rosse e il verde cupo delle foglie di una tappezzeria non vinta dal tempo. La signora delle tarme, dai corti e candidi capelli arricciati si mise a pompare dei vapori di un liquido che avrebbe fatto passare i mucchi tremolanti dal sonno alla funzione successiva.
Andando da un contenitore all’altro, la donna, con piccoli passi e con le braccia ora alzate ed ora calate, sembrava eseguire una danza, mentre il flebile ronzio si assottigliava con pause sempre più lunghe. Un paio d’ore e tutto fu intriso dell’odore del silenzio. Andò nella sua camera da letto ed aprì l’armadio. Si mise a frugare tra i suoi antichi vestiti fino a trovare quello che cercava.
Si spogliò nuda e si osservò alla specchiera dalla cornice di legno chiaro, rami di betulle stile liberty. Il corpo magro era ancora bello: i seni solo leggermente bassi e i capezzoli scuri, vita stretta, gambe lunghe, caviglie sottili, radi i peli del pube. L’abito di seta amaranto, una specie di sottoveste, scivolò morbidamente dalle spalle ai fianchi e si fermò alle ginocchia. Il copriletto sarebbe stato fatto in tempo. Aveva incontrato quel bel signore dai capelli brizzolati, passeggiando nei giardini accanto alla grande piazza. Si erano solamente sorrisi, e le gote le erano arrossite vagamente.
Piero riposava nel cimitero da molti anni ed i figli vivevano lontani in gelide cittadine del nord Europa. Adesso bisognava sbrigarsi. Con un coltello affilato si mise a tritare le tarme ed il volume diminuì fino a riempire solo due grandi ceste. Accese il fuoco e in un pentolone bollì l’intruglio poco per volta. L’impasto tiepido venne filato tutta la notte ottenendo delle matasse brillanti , iridescenti. Pareva seta pesante. Trascorse l’indomani a tessere al grande telaio. I giorni passavano e tritava e bolliva e asciugava e tesseva.
Dimenticò di nutrirsi e finì per dimagrire ancora, finché sparì del tutto. Sul telaio rimase la grande coperta matrimoniale scintillante nel silenzio della casa di periferia al terzo piano di una palazzina che sembrava disabitata. Da una radio una musica di tango. Nient’altro.


Giuseppe Davì

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02 settembre 2007

Settembre

Torno a voi abbronzato per la lunga vacanza trascorsa in campeggio e con un attestato di merito della scuola di SALSA & MERENGUE, pronto a riprendere i miei studi col Circolo Bateson.

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21 giugno 2007

Proverbio

Chi troppo in alto va, cade sovente; precipitevolissimevolmente.

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11 giugno 2007

Forma e processo

Un webpercorso di Giuseppe Davì per il seminario batesoniano di giugno 2007 “Forma e processo”
Da ‘Tracce per una riformulazione del concetto di arte interattiva’ di Tommaso Tozzi 1997
Le forme fluttuanti dell’interfaccia
I sensi sono non solo l’interfaccia con il mondo (valvole tra noi e gli altri), ma sono allo stesso tempo un legame.
I sensi stringono relazioni con il mondo in modo tale da creare connessioni. In particolare con le nuove forme di comunicazione le percezioni sono in grado di ampliarsi, moltiplicarsi e differenziarsi non solo per raccogliere o emettere informazioni, ma per creare una rete intricata e complessa di legami che rendono noi e il mondo un unico organismo complesso.
Un organismo composto di eterogeneità più che di unità. Allo stesso modo l’ interfaccia non va intesa come un semplice filtro di traduzione tra entità diverse, ma è il nodo che li tiene uniti rendendoli l’uno dipendente dall’altro, secondo forze maggiori o minori, in relazione ai molteplici altri nodi, che ciascuna entità mette sincronicamente in atto con numerose altre, ognuna delle quali in grado di influire sulla forza delle altre. L interfaccia (e la comunicazione) non è un semplice filtro di traduzione e attribuzione di senso e decodifica, ma è contemporaneamente uno stretto legame di coevoluzione tra gli enti relazionati. L’interfaccia si configura dunque come una forma fluttuante. Fare un software che prevede la cooperazione tra utente e macchina è estremamente complesso a causa delle logiche stesse di programmazione e costruzione dell’ hardware fino ad ora adottate. E’ necessaria dunque una riformulazione di tali linguaggi e di tali modelli progettuali, che renda possibile creare interfacce cooperative in modo semplice e veloce. Le reti neurali potrebbero muoversi in tale direzione. Un passo necessario ma non sufficiente. Per il momento si tratta di comprendere che l’interfaccia e i programmi non sono qualcosa di esclusivamente meccanico e matematico, ma devono includere altre discipline: la psicologia, la sociologia, l’etologia, la biologia, l’etica, ... ma soprattutto devono essere integrate per un uso personalizzato e relazionato con le situazioni contingenti cui sono finalizzate. Come un libro in una biblioteca è una forma di sapere in quanto non separato dagli individui e dallo stesso autore, allo stesso modo ogni software e ogni computer non può essere progettato separatamente dall’autore e dall’ utente. Non si può pensare a software creati in scala per un unica tipologia di uso. Ogni interfaccia deve essere relativa alla situazione per cui viene creata e dunque l’ interfaccia deve nascere dal dialogo tra programmatore/i e utente/i e tale rapporto non deve mai venire meno, al punto che l’ utente possa essere in grado di essere programmatore esso stesso e dunque capace di riprogrammare l’ interfaccia e viceversa. L interfaccia deve essere fluttuante, ovvero in grado di evolvere nel tempo e in base alle relazioni e al dialogo con gli utenti. Un esempio potrebbe essere il processo di mutazione che l’utente di un blog o di un sito mette in atto intervenendo nel programma htm. In modo semplice saranno trasformati colori, caratteri e impostazioni utili per ottenere effetti differenziati. Accettare un identità significa conferire validità a un metodo specifico di classificazione dell’ essere. Significa accettare che la propria determinazione sociale e ogni sua possibile mutazione possono situarsi solo all’ interno del codice di classificazione accettato. La nostra vita è complessa, al punto da richiedere identità molteplici ovvero sovrapposizioni continue di un numero indefinito di codici e metodi di classificazione della medesima. Processi diversificati in grado di ricodificarsi continuamente. Una legge che imponga alla vita un’ unica chiave di lettura è inaccettabile . L’ identità unica dell’ individuo è la conseguenza del paradigma scientifico e meccanico di classificazione del sapere. Attualmente viviamo in una società di relazioni complesse basate sulla dinamica dei rapporti. Il digitale, ultima uscita della meccanica è costretto a dialogare, confrontarsi e interagire con l’ analogico, garantendo nel fare questo le qualità indeterminate dell’essere.

Webibliografia
Sei biotracce di forme sistemiche in cerca di processo e un corollario

Fritjof Capra
(Vienna, 1° febbraio 1939) è un fisico teorico, economista e scrittore. Si è occupato anche di sviluppo sostenibile, ecologia e teoria della complessità. La sua notorietà è dovuta soprattutto al bestseller "Il Tao della Fisica" (1975). Una nuova visione della natura e della scienza“(...) L’uomo non tesse la trama della vita; in essa egli è soltanto un filo. Qualsiasi cosa fa alla trama, l’uomo la fa a se stesso.” Da “La rete della vita”

Jacques Loeb
(Mayen presso Coblenza, 7. Aprile 1859 ; Hamilton presso le isole Bermuda, 11. Febbraio 1924 )
Sul comportamento degli animali
Gli animali eliotropici – positivamente, se la luce provoca un aumento, negativamente, se la luce provoca una diminuzione della tensione dei muscoli – non sono altro che macchine fotometriche. […] Molti animali sono costretti ad assumere un certo orientamento in rapporto a certe direttrici d’azione, per esempio quella della luce, d’una corrente elettrica, della gravità o della concentrazione di sostanze chimiche. Poiché questo orientamento è regolato dalla legge d’azione della massa, è possibile l’estensione di tale legge a tutte le reazioni fisico-chimiche analoghe. J. Loeb, La conception mécanique de la vie, Parigi, 1912, p. 51)

Pietro Omodeo
(Cefalù, 1919)
Pone le basi teoriche della biologia evoluzionistica
Lavora al Dipartimento di biologia Evolutiva, Università di Siena.
Le scienze naturali in genere e la biologia in particolare, si sono sviluppate attraverso il consueto schema della osservazione, descrizione, generalizzazione e formulazione di principi. Quando possibile i principi vengono posti in forma matematica, come nel caso dei processi fisiologici di animali e piante, o, meno spesso, nel caso di comportamenti semplici o complessi. In altri settori della biologia ciò che appare avere grande rilievo è invece il concatenamento di principi vari, di assunti e di ipotesi di lavoro in teorie che abbracciano problematiche molto vaste. Un caso particolare è quello della teoria dell’evoluzione dei viventi. Detta teoria si articola su quattro proposizioni, formulate in vario modo in origine, ed oggi controllate in sede sperimentale in modo ineccepibile. La documentazione sperimentale, ovviamente, non esaurisce la ricerca, anzi l’orienta in modo urgente in due diverse direzioni: alla ricerca del modo di operare delle diverse categorie degli agenti selettori, nonché al modo in cui si articola la mutagenesi. E’ questo il campo in cui gli studi sono più carenti. E’ anche urgente mettere ordine nello studio della ‘evoluzione per complessificazione’, di solito chiamata ‘macroevoluzione’, campo che è stato trascurato da molto tempo mentre sono stati favoriti gli studi sulla mutagenesi.

Clinton Richard Dawkins
(Nairobi, 26 marzo 1941)
Dawkins è noto in particolare per la sua opera di divulgazione della sua visione dell'evoluzione basata sulla nozione dell'"egoismo del gene", esposta nella sua opera più nota, Il gene egoista. La visione di Dawkins mantiene un impianto complessivo evoluzionista ma identifica nel gene, anziché nella specie, il soggetto principale della selezione naturale che conduce il processo evolutivo. Dawkins, infatti, afferma che: "L'unità fondamentale della selezione, e quindi dell'egoismo, non è né la specie né il gruppo e neppure, in senso stretto l'individuo, ma il gene, l'unità dell'eriditarietà." (Da Il gene egoista cap. 1 "Perché esiste la gente?" pg. 13-14, di Richard Dawkins, ed.Mondadori Classici) Aggiunge inoltre: "Hanno sbagliato tutto [si riferisce a studiosi all'opinione di scienziati a lui precedenti](...) Sono partiti dal presupposto che la cosa più importante dell'evoluzione fosse il bene della specie(o del gruppo) invece che il bene dell'individuo (o del gene)." (Da Il gene egoista cap.1 "Perché esiste la gente?" pg. 4) Sottolinea, infine, che questa interpretazione non deve intendersi come un mutamento radicale rispetto all'evoluzionismo classico, ma piuttosto come uno strumento intellettuale che facilita la comprensione e la visualizzazione dei processi evolutivi.

Pierre Lévy
(Tunisia ,1956)
Pierre Lévy è un filosofo che studia l'impatto di Internet sulla società. Allievo di Michel Serres e Cornelius Castoriadis alla Sorbona, specializzatosi a Montreal, studioso delle implicazioni culturali dell'informatizzazione, del mondo degli ipertesti, e degli effetti della globalizzazione, insegna presso il dipartimento Hypermédias dell'Università di Parigi VIII Saint Denis.
Pierre Lévy si interessa di computer e Internet, come strumenti per aumentare le capacità di cooperazione non solo della specie umana nel suo insieme, ma anche quelle di collettività come associazioni, imprese, gruppi locali. Egli sostiene che il fine più elevato di Internet è l'intelligenza collettiva, un concetto già introdotto da filosofi del passato e così definito in un'intervista: "Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva."

Roger Penrose
(Colchester ,Gran Bretagna 8 agosto 1931)
La realtà è una cospirazione creata dall'illusione dei sensi.
Roger Penrose è un matematico e fisico inglese, molto stimato per il suo lavoro nel campo della fisica matematica, in particolare per i suoi contributi alla cosmologia. Egli si occupa inoltre di giochi matematici ed è un controverso filosofo.
E’ famoso per l'invenzione avvenuta nel 1974 della tassellatura di Penrose, che è formata da due tasselli che possono ricoprire un piano solo aperiodicamente. Nel 1984, si sono ritrovati schemi simili nella disposizione degli atomi nei quasicristalli (particolare forma di solido nel quale gli atomi sono disposti in una struttura deterministica ma non ripetitiva).
Ha scritto libri come La mente nuova dell'imperatore e Ombre della mente nei quali osserva che le leggi della fisica conosciute non costituiscono un sistema completo e che l'intelligenza artificiale non potrà mai eguagliare l'intelligenza dell'uomo. In questi libri, egli dimostra simili intuizioni basandosi sulla scoperta che l'uomo può fare cose oltre la potenza della logica formale, come sapere la verità di asserzioni non dimostrabili.
É inoltre autore del libro La strada che porta alla realtà, sintesi dello stato della fisica teorica moderna. Egli sostiene che l'essere umano può prendere per vere cose che sono false e che quindi il processo della comprensione non è limitato dai metodi matematici della logica formale. Inoltre, anche i programmi di intelligenza artificiale possono concludere che affermazioni false sono vere; questa non è quindi una caratteristica esclusiva dell'essere umano.
Ha elaborato una teoria della consapevolezza umana dove viene ipotizzato che questa potrebbe essere il risultato di fenomeni quantistici ancora ignoti che avrebbero luogo nei microtubuli (bastoncelli cavi di varia lunghezza, importanti per determinare la forma complessiva della cellula) e che rientrerebbero in una nuova teoria capace di unificare la teoria della relatività di Einstein con la meccanica quantistica.

Corollario

L’evoluzione a quattro dimensioni
Eva Jablonka e Marion Lamb
UTET

Il modo di concepire l'ereditarietà e l'evoluzione sta attraversando una fase di rivoluzionario cambiamento. Le nuove scoperte della biologia molecolare mettono in discussione, infatti, la versione "genocentrica" della teoria darwiniana, secondo cui l'adattamento ha luogo esclusivamente tramite la selezione naturale di variazioni casuali del DNA. In questo testo, Eva Jablonka e Marion Lamb sostengono, invece che l'ereditarietà non ha a che vedere soltanto con i geni e tracciano quattro "dimensioni" dell'evoluzione, quattro sistemi ereditari che in essa giocano una parte: quello genetico, quello epigenetico (trasmissione cellulare dei tratti esente da mutazioni del DNA), quello comportamentale e quello simbolico (trasmissione tramite il linguaggio o altre analoghe forme di comunicazione). Ciascuno di essi, secondo le autrici, è in grado di fornire variazioni su cui può agire la selezione naturale.

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01 giugno 2007

Seminario

Roma - 9-10 giugno 2007 - Sede di Legambiente Via Salaria 403 (all'interno di Villa Ada) - Circolo Bateson: Seminario "Il paradigma forma/processo nell'epistemologia di Gregory Bateson" - Per iscrizioni e programma: http://www.circolobateson.it/

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31 maggio 2007

Ascensione inversa



Era il primo sabato dopo un 16 luglio di tanti anni fa, la città santa trasudava turisti e l’aria calda della mezza asciugava in fretta i panni stesi fra i balconi di Trastevere. Mano nella mano io e Mari passeggiavamo tra la folla.
Sorridenti famiglie trasteverine sedevano intorno ai tavoli, che occupavano interamente stradine e marciapiedi. Splendide matrone dai leggeri vestiti fiorati si versavano del vino dorato nei bicchieri di vetro delle osterie, i ragazzini scorazzavano beati inseguendosi nei labirinti assolati. Un volpino bianco girava su se stesso cercando di mordersi la coda. Storditi dalle voci gioiose volevamo sederci, ma cercavamo invano due sedie libere. Con voce tonante un giovanotto ci disse “ Metteteve qua!” e fece alzare due ragazzine recalcitranti. Accettammo volentieri anche una bella caraffa di vino e due bicchieri, che spuntarono all’improvviso non si sa da dove. Ad un tratto un bagliore argenteo illuminò dall’alto la facciata della casa vicina e poi scomparve. Un paniere scendeva da un balcone al terzo piano, lentamente. Un gruppo vicino si alzò per ricevere quello che sembrava un dono del cielo. Nel paniere profumava una pentola d’alluminio, colma di bucatini alla matriciana. Quel giorno, mangiando con i nuovi amici, scoprimmo quali veri miracoli poteva offrire il cuore di Roma.

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21 maggio 2007

Anche quest'anno le rose son fiorite...


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18 aprile 2007

La forma del circolo Bateson?


La forma d’un circolo non ha bisogno di essere definita: è lapalissianamente una circonferenza. Gli elementi che definiscono una circonferenza sono dei punti. Perché affannarsi a cercare il numero di punti o la posizione o la qualità di ciascun punto? Il numero dei punti è incommensurabile sia che riguardi una piccola cerchia locale sia che riguardi la famosa circonferenza di raggio infinito. Essa esiste pur essendo invisibile. Chi crede di potere esistere al di fuori di un paradosso scagli la prima pietra. Così come chi crede di avere una proposta univoca di regola/e.
Il fatto è che: in verità in verità vi dico...Il cerchio pulsando ha riconosciuto il tempo e si è compiuto un effetto sacro; adesso in uno specchio antico si vede ciò che è : una sfera. Una spora oscillante, densa della solida musica delle idee, dei pensieri, delle parole. Ciò che sembrava un elemento circolare piano, ha volume e occupa spazio. Per allontanarsi dalle madri bomba, dalle guerre, dalla violenza nel mondo e contro il mondo?
Sì, abbiamo parlato con le idee e con la coscienza e con le parole e poiché stanno per morire ci hanno chiesto di portarle in un luogo lontano e inaccessibile là dove anche gli angeli esitano("Ché gli stolti si precipitano là dove gli angeli esitano a metter piede" Alexander Pope1). In un luogo dove potrebbero nuovamente fiorire e propagarsi. Come? Ma è semplice con la temerarietà e la follia di chi raccoglie a bracciate i nanotubi e le monadi e l’epigenesi e la cibernetica e l’universo intero, con l’innocenza di chi sa di non possedere che poche classificazioni e nominazioni rubate a fatica alle biblioteche o al web. C’è da impacchettare Darwin e nasconderlo nelle pieghe di un libro di fisica quantistica per salvarlo dal neocreativismo fondamentalista. C’è da incartare in grandi fogli dei quotidiani Montessori per allontanarla dai telefonini intemperanti. C’è la mente da togliere e allontanare anni luce dalle faide filosofico/psichiatriche. C’è da riempire a mucchi enormi tir di tutto il software e l’hardware possibile per pensare al prossimo strumento che ci faccia sentire meno soli. Tutto ciò nella sconclusionatezza e ubriachezza di un progetto paradossale in cui credere prima di raggiungere il delta.


1)Alexander Pope (Londra, 22 maggio 1688 -Twickenham, 30 maggio 1744) è considerato uno dei più grandi poeti inglesi del XVIII secolo.Traduttore dell’Iliade e dell’Odissea

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19 marzo 2007

San Giuseppe a Salemi


Foto di Giuseppe Sciarrino

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02 marzo 2007

Frammenti preziosi



L’immagine oleografica di "Piana degli Albanesi", da me visitata in gita scolastica intorno agli anni sessanta, si è oggi arricchita di nuovi, precisi contorni. Per gli studenti palermitani era il modo per visitare un piccolo paese ai margini di un lago artificiale, specialmente nel periodo delle feste pasquali, quando si poteva assistere a strani riti. "Piana dei Greci" per il rito greco con cui viene celebrata la messa, oggi è nuovamente "Piana degli Albanesi". I discendenti di quel gruppo di profughi sfuggiti all’armata turca, celebrano ancora la messa di Pasqua con brani dal vangelo in sette lingue, compreso l’arabo. I visitatori sono accolti col dono di uova colorate di rosso e si assiste ad un lungo corteo in cui gli abitanti indossano sontuosi costumi ricamati d’oro e d’argento. Anche all’incontro di sabato 24 febbraio 2007, abbiamo ricevuto dei doni, e preziosi.
Il primo dono che ho avuto è stato l’abbandono del mio pregiudizio oleografico e il formarsi di una idea: l’Albania è una nazione alla ricerca di una nuova configurazione. Il pomeriggio, svoltosi nei locali ampi e arredati modernamente del Caffé Letterario di via Ostiense 95 a Roma, ha visto snodarsi una serie di eventi, volti a presentare un "Doppio Sguardo": Italiani in Albania e Albanesi in Italia. L’organizzazione è stata curata dall’associazione culturale italo-albanese "Occhio blu" Onlus. Ai saluti di S.E. Llesh Kola, Ambasciatore d’Albania in Italia, accolto con un caloroso applauso dai numerosi presenti di entrambe le Nazioni, sono seguite le varie parti dell’incontro. Il sociologo Rando Devole, autore del libro "L’immigrazione albanese in Italia", ha presentato, come moderate, l’evento e la mostra fotografica della giovane Ina Verzivolli. Due massicci microfoni, tenuti insieme con nastro adesivo trasparente hanno raccolto interviste sorretti dal moderatore: altro che "metafora" della fatica! Proprio "una fatica".
Eliza Coba ed Edmond Cali hanno parlato del lavoro nella vita del migrante, sottolineando come a volte non vi sia coincidenza tra la durata del permesso di soggiorno e il periodo lavorativo a tempo determinato: se il periodo lavorativo si conclude dopo del permesso di soggiorno si è costretti alla clandestinità fino alla conquista di un’altra occupazione.
Anna Rosa Iraldo e Paola Musarra hanno raccontato la loro esperienza; l’una, Paola a Roma, con gli occhi dell’altra, Anna Rosa a Tirana, si sono occupate di storie di donne albanesi. Si è colta la delicatezza, messa in atto da entrambe, per testimoniare e tradurre e consegnare i significati nel modo più puro possibile. Si è compresa la difficoltà di usare passaggi tra linguaggi diversi: registrazione orale, traduzione, scrittura e "mise en page" sul sito no profit "Medea" curato da Paola Musarra. Eugenio Pezzi e Serena Luciani hanno affrontato il tema delle nuove generazioni che si integrano, celebrando matrimoni misti e rischiando di perdere l’ identità nazionale: non sempre le nuove famiglie trasmettono ai figli la lingua, la cultura e le usanze della terra natia.
Con Anila Husha e Ismail Ademi è stato affrontato il problema del futuro. Cosa faranno gli studenti universitari di seconda generazione? Troveranno lavoro in Italia o in Albania? Il loro titolo di studio dove avrà valore? Mentre parlano con passione, una bimba dal vestitino marrone lungo tenta di arrampicarsi sui gradini neri per avvicinarsi agli intervistati che stanno in alto, sulla pedana. Ma è troppo piccola, avrà a stento tredici mesi, e non ci riesce. Emette a volte una specie di cinguettio felice, interrotto dalla mamma che dolcemente l’allontana.
La prima parte si è conclusa, segue un intermezzo musicale. Al pianoforte a coda siede Mario Montore, Ana Lushi canta con splendida voce da soprano due brani, uno dalla "Bohème" di Puccini e uno dalla "Semiramide" di Rossini. Ora è la volta di antiche canzoni albanesi, la prima è della zona di Scutari. Si ascolta la tranquillità del lago e dei fiumi, dei boschi e delle montagne ai confini del Montenegro. Accanto a me un ragazzo biondo seduto a gambe larghe sussurra pianissimo le stesse parole, se le cerca dentro e forse ricorda qualcosa di lontano ma non completamente perduto, forse un canto della sua mamma quando era bambino, i suoi occhi azzurri brillano. Conclude la serata il grande poeta Visar Zhiti, che reca ancora le ferite della sua lunga prigionia di dissidente.

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17 febbraio 2007

Una inquietante abitudine

Il tempo oggi mi passa così:
butto la cenere della sigaretta
dentro il cestino della carta straccia
colmo è di fazzoletti e d’altro
i miei pensieri inutili
tengo la cicca tra l’indice e il medio
tutto il tempo che occorre
perché la brace confini col filtro
e muoia
butto la cicca nel cestino
e spero
d’aver dimenticato
qualcosa
e che tutto avvampi
d’improvviso
e che anch’io
sparisca
tra rapide fiamme
crepitando
senza un grido
senza un lamento
inutili

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05 febbraio 2007

Il sole all'Auditorium

Un piccolo ma grande direttore d'orchestra armeno ha diretto domenica mattina "Porgy and Bess" di George Gershwin e "La Valse" di Maurice Ravel nella immensa sala Santa Cecilia. Coinvolto e sicuramente felice agitava bacchetta e mani e braccia e gambe e fianchi in modo tale da evocare tutto un universo in espansione con spirali e galassie in pulsazione continua. Un mago. Il suo nome è George Pehlivanian. Applausi lunghi e fitti

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31 gennaio 2007

Autorevolezza delle cicale

Dopo un lungo silenzio è sufficiente una sola parola da scrivere o da dire.
E per ciascuno è diverso. Trova la tua parola. Fuori dai sogni.

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07 gennaio 2007

Cronache romane

Teatro,passeggiate, presentazioni di libri ed episodi vari batesoniani e non.

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Evoluzione

Cronache neodarwiniane e neocostruttivistiche.

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Sogni

Foto di fiori e di quartiere e antiche di famiglia

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30 dicembre 2006

Differenze

Tra una cravatta e un cappio al collo
Tra un gatto vivo ed un gatto morto
Tra respirare e rantolare
Tra un istante mortale e dieci minuti verso la morte
Tra un sentiero spinoso verso la pace
E una strada comoda e larga verso le guerre

Tra ... e ...

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09 giugno 2006

la scuola sta finendo

Tranquilli, volevo dire : gli anziani lasciano il posto ai giovani. Era ora! Direte voi, ed avete proprio ragione.

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30 maggio 2006

allo specchio

Gli angeli non vanno in pensione ed il loro esitare dinanzi ad un baratro nuovo è in qualche modo accettabile ancorchè strano. Loro hanno delle ali ampie e bianchissime, io ho solo una grande massa corporea e sono proprio sicuro di non sapere volare se non in un grande e comodo aeroplano. Ora scopro che è scrivere il mio potere volare. Da troppo tempo non lo facevo e qualcosa si stava spegnendo nella mia voglia di costruire futuro. Come sempre sei tu che mi aiuti, o schermo lucente, specchio di me insieme a milioni e milioni di altri esseri e di altri oggetti.
Il caos ordinato sei tu , o corpo virtuale.

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23 maggio 2006

pomeriggio tecnologico

Roma, venerdì 26 maggio 2006 Sede del Cesv, Via dei Mille 6
00185 Roma


Il Circolo Bateson presenta
“Pomeriggio techno(logico?)”
a cura di
Paola Musarra
con Giuseppe Davì, Paolo Monti, Giorgio Narducci, Laura Rossi, Lucilla Ruffilli,
Laura Scarino, Gianni Tomasetig
ospite d'onore: Giuseppe O. Longo
============


ore 15.30 - Introduzione di Paola Musarra: "L'irruzione degli artefatti tecnologici nella relazione educativa"
(spoglio del questionario proposto durante il Seminario "I presupposti della relazione educativa"
del 21-22 gennaio 2006)

ore 16 - Primo quadro: "Il videofonino"
Testo e lettura interpretativa di Giuseppe Davì

Secondo quadro: "Il telefonino"
testo: Giuseppe O. Longo; lettura interpretativa: Giuseppe O. Longo e Paola Musarra

Breve pausa. Si raccolgono e si ordinano le schede con le domande del pubblico

ore 17 - Interventi programmati di
1. Giorgio Narducci
2. Giuseppe O. Longo

ore 17.30 Interventi non programmati, risposte alle domande, discussione generale

ore 18 - Conclusione problematica a cura del Circo Bat&son e dei suoi complici
1. "Shakespeariana "(tutti)
2. "Metalogo (G. Davì e L. Scarino) con inserto" (L.Ruffilli)
3. "Tacchino allo zenzero" (G. Davì, L.Rossi, G.Tomasetig e poi tutti)

ore 19 - Brindisi e spuntino sul terrazzo (se non piove, se no dentro)

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21 aprile 2006

Segreti

Conosci il segreto del dolore? quando non lo senti più, puoi cominciare a usarlo.

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12 febbraio 2006

felafel

la misteriosa polpetta dal retrogusto amaro fu ieri sera seguita da una cassatina palermitana.
entrambe mescolate ai tonnarelli scampi e gamberetti , masticati in un locale finto parco di cartapesta con cassiere mummia sorridente, generarono sonno pieno di incubi. un caffè bollente e l'ascolto del radiogiornale di rai tre, il mattino seguente cioè oggi, spazzarono mostruosi rimasugli.

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11 febbraio 2006

connessioni

lascerò il mio armadietto in sala professori ad un giovave collega. il mio sta in alto ed il suo in basso, con l'età viene difficile piegarsi: i dolori alla schiena si fanno presenti.

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10 febbraio 2006

mutazioni

capelli rasati quasi a zero per sentire sotto la mano la cute libera e fresca e i pensieri svaporare con facilità.

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09 febbraio 2006

Il santino del 1950


Un prezioso documento cartaceo: mia firma autografa dei tempi della prima infanzia, sul retro di un santino di San Francesco di Paola.




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